La follatura è una procedura sviluppata fin dal medioevo per impermeabilizzare la lana. Già in epoca romana esisteva una piccola industria che, in apposite officine dette fullonicae, provvedeva all'operazione di follatura. Le pezze tessute venivano messe a bagno in grandi vasche piene d'acqua e battute coi piedi (saltus fullonicus) sfregate e torte con le mani dagli operai (schiavi) sorvegliati dal responsabile (Liberto). L'acqua calda con l'aggiunta di argilla smectica detta terra da follone, combinata con l'azione energica dei piedi, infeltriva la lana. A Pompei,  quando venne distrutta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. erano in funzione 39 impianti (officinae) per la lavorazione della lana tra cui undici fullonicae. Il panno poi veniva lavato con urina per eliminare le impurità, fatto asciugare, garzato (cioè spazzolato con cardi o pelli di porcospino per sollevare il pelo), cimato, pressato e candeggiato con fumi di zolfo.

La follatura era un lavoro molto gravoso, già nel medioevo si costruirono le gualchiere, edifici edificati presso un corso d'acqua, dove magli

azionati dalla forza idraulica battevano il panno.

Oggi la follatura, effettuata con macchinari industriali, continua ad essere utilizzata per lavorazioni particolari e per la produzione di tessuti storici come il panno casentino o il loden.


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